domingo, 26 de diciembre de 2010

Navidad desde Tierra Santa

Navidad en Irak

<a href="http://video.mx.msn.com/?mkt=es-mx&vid=44a1accb-9909-43ae-99fa-9089d375f9ad&from=es-mx&fg=dest" target="_new" title="Navidades grises para los cristianos de Irak">Video: Navidades grises para los cristianos de Irak</a>

martes, 21 de diciembre de 2010

El presidente del Consejo Pontificio para la Unidad de los Cristianos se reúne con el Custodio de Tierra Santa

Domingo, 19 de diciembre. El Custodio de Tierra Santa, fray Pierbattista Pizzaballa, recibió en el convento de San Salvador de Jerusalén, casa madre de la Custodia de Tierra Santa, y en presencia de toda la comunidad, a Su Eminencia el Cardenal Kurtl Koch, de paso por Tierra Santa. Invitado como obispo de Basilea (suizo-alemán) con motivo de la inauguración de las nuevas instalaciones del Baby Caritas Hospital de Belén, Monseñor Koch fue promovido a la púrpura cardenalicia el 20 de noviembre de 2010. Además, él, desde principios del mes de julio pasado, es presidente del Consejo Pontificio para la Unidad de los Cristianos, sucediendo al cardenal Kasper, que había alcanzado la edad de la jubilación.
En este cargo, el Cardenal es también el encargado de las relaciones con el judaísmo. Le acompañaba el padre Norbert Hofmann sdb, secretario de la comisión para las relaciones con el judaísmo.
Recibido en la sala de la comunidad, Su Eminencia ha querido conocer con claridad el papel y la misión de la Custodia. Ha sido el Custodio quien ha hecho la presentación, puntualizada con observaciones por parte del vicario custodial, fray Artemio Vítores. A continuación, el cardenal ha expuesto el trabajo realizado por su dicasterio, explicando su mandato y la dificultad de un diálogo ecuménico en varios frentes. Ha explicado también que el diálogo con la ortodoxia se realiza con quince iglesias diferentes y que en cada una de ellas hay ardientes defensores del diálogo y, también, ardientes opositores, de tal forma que los progresos alcanzados pueden tardar algún tiempo en tener repercusión sobre el terreno: “Necesitaría un año para valorar esta realidad”. A su vez, el Custodio ha podido explicar la forma en que la Custodia vive de forma práctica el ecumenismo en los Santos Lugares ya sea en los santuarios compartidos con otras confesiones cristianas o en la acogida a los peregrinos ortodoxos o procedentes de la Reforma.
Tras la exposición, el Cardenal ha dialogado con la comunidad. Entre las distintas cuestiones, se le ha preguntado sobre la precisión aportada por el Santo Padre Benedicto XVI en su reciente libro-entrevista “Luz del mundo” respecto de los judíos a los que el Papa prefiere llamar “nuestros padres en la fe” antes que “hermanos mayores”, como hacía su antecesor Juan Pablo II. El Cardenal ha manifestado su alegría por este matiz: “El judaísmo no es una religión paralela al cristianismo sino su base fundamental. Se trata sobre todo de paternidad. Además, en la Biblia la percepción del hermano mayor o menor, o más joven, es susceptible de crear confusión en este diálogo”. Su Eminencia ha expresado el deseo de que el diálogo con el judaísmo se base todavía más en la teología, en vez de caer en la tentación de basarlo en la diplomacia.
Otra pregunta importante sobre los sacramentos ha llevado a hablar de las diferencias en el diálogo abierto con las iglesias de la Reforma y la Ortodoxia. Una diferencia que el Cardenal ha resumido así: “Por una parte, con los ortodoxos, tenemos los mismos fundamentos de fe aunque no la misma cultura; por otra, compartimos con las iglesias reformadas la misma cultura pero no la misma concepción sobre los sacramentos”. En resumen, un diálogo que continuará, así lo esperamos, con ocasión de próximas visitas del Cardenal.
La visita concluyó con un intercambio de regalos y unas palabras dirigidas por el Cardenal a cada uno de los presentes. Hay que recordar que el Santo Padre Benedicto XVI ya manifestó los puntos fundamentales de su pontificado: el ecumenismo, y especialmente el acercamiento a la ortodoxia, así como las relaciones con las demás religiones y en primer lugar la hebrea. Labor delicada la que tiene el Cardenal Koch y para la cual la Custodia le asegura su oración en esta Tierra Santa.

viernes, 17 de diciembre de 2010

Cristiani ed ebrei hanno discusso in ebraico sul Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente

Dopo il ritorno dei vescovi di Terra Santa dall’Assemblea speciale del Sinodo per il Medio Oriente, si moltiplicano le iniziative nei Paesi, per presentare ai fedeli e a tutti coloro ai quali interessa la riflessione, le questioni che sono state studiate, le domande che si sono poste e i mezzi per mettere concretamente in opera le 44 risoluzioni finali che sono state pubblicate in occasione di questo tempo intenso per la Chiesa della regione.
Uno degli incontri è stato tenuto a Gerusalemme mercoledì 15 dicembre. La sua duplice originalità è consistita, in primo luogo, nel fatto che tale incontro è stato organizzato dall’Assemblea degli Ordinari di Terra Santa in collaborazione con l’Istituto di Gerusalemme per gli studi su Israele (Jerusalem Institute for Israel Studies – JIIS), il Centro di Gerusalemme per le relazioni giudeo-cristiane (Jerusalem Center for Jewish-Christian Relations JCJCR), e il Consiglio di coordinazione interreligiosa in Israele (Interreligious coordinating Council in Israel ICCI) e in secondo luogo, nel fatto che si è svolto in ebraico.
Il primo pannello di oratori era costituito da persone che hanno vissuto il sinodo dall’interno.
Monsignor William Shomali, vescovo ausiliario del Patriarcato latino di Gerusalemme, ha ripreso le intenzioni e le finalità del Sinodo. Egli è stato l’unico oratore a esprimersi in inglese.
Padre Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa, ha parlato - come durante l’Assemblea di Roma - dell’Universalità della Chiesa di Terra Santa.
Padre David Neuhaus, vicario patriarcale incaricato della comunità cattolica di lingua ebraica, ha evocato il ruolo importante della lingua ebraica al sinodo, descrivendolo come una piacevole sorpresa per gli israeliani.
In quest’occasione infatti, e per la prima volta, Radio Vaticana ha aperto una pagina quotidianamente aggiornata in ebraico, e ha fatto traduzioni e interviste. Questo lavoro, sostenuto finanziariamente dalla Custodia di Terra Santa, è stato assicurato durante l’Assemblea da Hanna Bendcowsky, del Centro di Gerusalemme per le relazioni giudeo-cristiane. Questo servizio è destinato a continuare, ma dovrà conoscere un’interruzione, il tempo di creare una equipe capace di assicurarlo sul lungo termine.
Anche Hanna Bendcowsky, israeliana ed ebrea, è quindi intervenuta, per condividere la sua esperienza in mezzo ai prelati e la sua percezione della dinamica del sinodo. Lei, tra le altre cose, non si immaginava certo che un giorno si sarebbe trovata in pantaloni, intenta a fumare il sigaro e bere un caffè con degli uomini in abito, tantomeno con dei cardinali in Vaticano! C’era qualcosa di surreale e di appassionato nel modo in cui Hanna ha vissuto le relazioni giudeo-cristiane e come il Centro di Gerusalemme le trasmette. La riunione, d’altra parte, si è aperta con un minuto di silenzio in memoria di Daniel Rossing, fondatore del centro, recentemente deceduto.
Prima di Hanna, si è espresso il sig. Soubhi Makhoul, diacono e amministratore dell’Esarcato maronita a Gerusalemme, che ha parlato della presenza dei laici (da intendersi nella Chiesa nell’accezione di cristiani impegnati ma “non clericali”), in particolare i giovani e le donne nei lavori del Sinodo.
Dopo queste prime brevi testimonianze, altri tre interventi di ebrei israeliani sono tornati in linea più generale, sulle difficoltà che persistono nel dialogo tra ebrei e cristiani, e specificamente in Israele sull’ignoranza e/o l’indifferenza degli ebrei verso il cristianesimo, alimentando le solite polemiche.
Il signor Amnon Ramon, ricercatore presso l’Istituto di Gerusalemme per gli studi su Israele, ha enunciato i temi principali del Sinodo.
Il Rabbino Ron Kronish, direttore del Consiglio di coordinazione interreligiosa in Israele, ha parlato della necessità di un migliore insegnamento del cristianesimo nel paese.
La signora Yisca Harani, ricercatrice specializzata di cristianesimo, è tornata a parlare della ricezione del Sinodo in Israele.
Al termine di questi interventi il rappresentante del Ministero degli affari esteri israeliano ha sottolineato, a ragione, che la presenza cristiana in Israele è aumentata di numero e che non dovrebbe subire pressioni. Egli ha espresso la sua delusione per il fatto durante l’Assemblea dei vescovi, delle voci al margine del sinodo, ma a grande risonanza mediatica, si sono levate contro Israele.
L’auditorium dell’Istituto di Gerusalemme per gli studi su Israele si è rivelato troppo piccolo per accogliere tutte le persone venute ad ascoltare questo colloquio. La maggioranza era composta da israeliani, ma si è anche notata una forte presenza di cristiani insediati in Israele, tra cui parecchi membri della comunità cattolica di lingua ebraica.
Questo scambio e gli incontri che esso ha permesso, si inscrivono in un continuo sforzo di dialogo e di comprensione reciproca. Se il Sinodo si è soffermato più a lungo sulle relazioni tra il cristianesimo e l’islam è perché, di fatto e come ha ricordato Monsignor Shomali, la presenza cristiana in Medio Oriente è minoranza in un ambiente a maggioranza musulmana.
Ricordiamo che i Paesi musulmani rappresentati al Sinodo erano l’Egitto, gli Emirati, l’Iran, l’Iraq, la Giordania, il Kuwait, il Libano, la Siria, la Turchia, Djibouti, la Tunisia, il Marocco, la Libia, l’Algeria. E anche qui in Terra Santa, Israele e Territori palestinesi, tra ebrei e musulmani, la cristianità è minoranza.
Ciononostante alcune domande che si pongono nella relazione dei cristiani con l’islam e i musulmani, sono le stesse che si pongono con il giudaismo e gli ebrei. Come conoscersi meglio, come aprirsi o perseguire un dialogo rispettoso, quali sono i diritti e i doveri per i cristiani nei paesi dove la religione condiziona la vita dei cittadini? Etc.
Un dibattito troppo appassionato per concludersi in breve tempo.

Iraq: Una Navidad celebrada tras altos muros

El arzobispo de Mosul propone una conferencia internacional por las minorías en Oriente Medio

Levantar unos muros de tres metros de alto en torno a las iglesias de Bagdad y de Mosul para proteger a los cristianos de posibles ataques de extremistas es la propuesta del Gobierno iraquí para afrontar las crecientes amenazas a la comunidad cristiana.
Los muros estarían perforados por puntos de acceso controlados por la policía para permitir a los fieles entrar en las iglesias.
De esta manera, el Gobierno muestran su determinación a usar todos los medios a su alcance para evitar que se repita una masacre como la de la catedral siro-católica de Bagdad, que causó 58 muertos y más de 70 heridos el pasado 31 de octubre.
Normalmente, las celebraciones de la Navidad tienen lugar en las iglesias y los parques, pero este año, los responsables eclesiásticos han aconsejado a sus fieles que limiten las festividades para reducir al máximo los riesgos de inseguridad.
El obispo de Erbil, en el norte de Iraq, monseñor Bashar Warda, reconoció los esfuerzos del Gobierno para garantizar su seguridad.
Explicó que entre los fieles reina un clima de incertidumbre y de gran tristeza, aunque están determinados a celebrar la Navidad con todos los medios que estén a su disposición.
En una entrevista a la asociación católica internacional Ayuda a la Iglesia Necesitada, el obispo destacó que “una especie de desesperación” habita en los fieles, todavía en estado de shock tras la masacre en la iglesia de Bagdad.
Conferencia internacional
Por otra parte, Estrasburgo recibió esta semana la visita de una delegación de obispos iraquíes al Europarlamento y al Consejo de Europa.
El arzobispo de Mosul, monseñor Basile Georges Casmoussa; el vicario patriarcal caldeo de Bagdad de los sirios, monseñor Matti Shaba Matoka, y el vicario patriarcal caldeo de Bagdad, monseñor Shlemon Warduni expusieron la situación de los cristianos en el país y pidieron ayuda para construir la paz en Iraq y apoyar al Gobierno de Bagdad en esta fase.
El arzobispo Casmoussa, propuso “una gran conferencia internacional, que podría celebrarse en Irak o, si esto no es posible, en el Líbano, que se dedique a la tutela de las minorías presentes en Oriente Medio”, informó la agencia SIR.
El presidente del Parlamento Europeo, Jerzy Buzek, destacó la necesidad de que Iraq proteja a los cristianos y aseguró a la delegación que ha pedido a la “alta representante para la política exterior Catherine Ashton que afronte el problema como una cuestión prioritaria”.
Además, los obispos de la delegación iraquí han recibido un mensaje, suscrito por 160 eurodiputados que se muestran “determinados a mantener relaciones con los cristianos de Oriente Medio, a no dejarles solos, a utilizar todos los medios a su disposición para defender la democracia, los derechos humanos y la libertad de religión, también para los cristianos de Oriente Medio”.
14.000 firmas
Los arzobispos de Bagdad y Mosul continuarán su viaje y su testimonio en España, donde intervendrán esta tarde en un acto público en la Universidad San Pablo-CEU de Madrid titulado Cristianos perseguidos: la realidad de Iraq.
En él, se leerá la Declaración por la libertad religiosa en el mundo, que durante estos días han firmado más de 14.000 personas, informó la Universidad San Pablo-CEU.
La iniciativa quiere mostrar la solidaridad, cercanía y apoyo de los españoles a todas las víctimas de la intolerancia, de las agresiones y de la persecución por motivos religiosos.
El manifiesto, promovido por el grupo impulsor de la Carta de Bienvenida de la sociedad civil española al Papa Benedicto XVI, hace “un llamamiento a las autoridades públicas, organizaciones sociales y personas en general para adoptar una conducta de defensa activa de la libertad religiosa, al ser uno de los pilares en que deben basarse la paz, la justicia y la libertad en el mundo”.

El Papa pide a los luteranos reflexionar sobre lo conseguido en ecumenismo

Ante la próxima celebración del quinto centenario de la Reforma

El Papa Benedicto XVI expresó hoy su esperanza de que los años que quedan para el quinto centenario del inicio de la Reforma ayuden a católicos y luteranos a reflexionar sobre lo conseguido juntos en el proceso ecuménico, y a seguir dando pasos adelante.
Así lo afirmó al recibir en el Vaticano a una delegación de la Federación Luterana Mundial, encabezada por su nuevo presidente, el obispo Munib A. Younan, de visita oficial estos días en Roma.
El Papa, en su discurso, insistió en la importancia de estos años de preparación que quedan hasta 2017, cuando se cumplirá el quinto centenario de la publicación, por parte de Lutero, de las 95 Tesis de Wittenberg, acto que supuso el inicio de la ruptura con Roma.
Con esta ocasión, recordó que la Comisión Internacional mixta católico-luterana está preparando un nuevo documento conjunto, similar a la Declaración Conjunta sobre la Doctrina de la Justificación, en el que se recogerá “lo que los luteranos y los católicos son capaces de decir juntos en este momento respecto a nuestras cada vez más estrechas relaciones después de casi cinco siglos de separación”.
Además, apuntó al tema que la Comisión está debatiendo en estos años, sobre “el bautismo y la creciente comunión eclesial”, apuntando a la cuestión de la eclesiología como la “clave” del diálogo ecuménico.
Esta cuestión, la de la comprensión de la Iglesia como nudo principal del diálogo ecuménico, había sido apuntada ya por el presidente del Consejo Pontificio para la Promoción de la Unidad de los Cristianos, monseñor Kurt Koch, en su intervención en la plenaria de este dicasterio, el pasado 19 de noviembre.
El Pontífice afirmó que “los católicos y los luteranos estamos llamados a reflexionar nuevamente sobre adónde nos ha llevado nuestro camino hacia la unidad, y a implorar la guía y la ayuda del Señor para el futuro”.
Quiso también recordar la anterior visita, el 10 de noviembre de 2005, de una delegación de la Federación, encabezada por el entonces presidente, Mark Hanson, precedesor del obispo Younan.
En aquella ocasión, recordó el Papa, “tuve la alegría de recibir a vuestros predecesores y de expresarles mi esperanza de que los contactos estrechos y el diálogo intensivo que habían caracterizado las relaciones ecuménicas entre católicos y luteranos continuasen produciendo ricos frutos”.
“Hoy podemos con gratitud hacer recuento de los muchos frutos significativos producidos en estas décadas de discusiones bilaterales”, afirmó.
Por último, el Papa insistió en la importancia del “ecumenismo de vida”, que consiste en, “despacio y tranquilamente, quitar barreras y fomentar lazos visibles de unidad a través del diálogo teológico y la cooperación práctica, especialmente a nivel de comunidades locales”.
“Es mi esperanza de que estas actividades ecuménicas proporcionen nuevas oportunidades para que los católicos y los luteranos sean cada vez más cercanos en sus vidas, su testimonio del Evangelio, y sus esfuerzos para llevar la luz de Cristo a todas las dimensiones de la sociedad”, concluyó.

Crecer en el ecumenismo

martes, 14 de diciembre de 2010

MATERIAL PARA LA SEMANA DE LA UNIDAD

Como todos los años las Misioneras Ecuménicas, ponen a vuestra disposición, los materiales para celebrar la Semana de Oración por la Unidad 2011. Os invitamos a prepararla con mucho interés, siguiendo las indicaciones de nuestro Papa Benedicto XVI, que nos anima a orar y trabajar para impetrar de Dios nuestro Señor la ansiada unidad por la que Cristo oró en la última cena.
Materiales:
  • Opúsculo siguiendo el texto oficial, Celebración Ecuménica, Artículos, Oraciones......3,60 €
  • Ópúsculo con "Paneles Informativos" de la Exposición "Religiones-Ecumenismo"... 2,50 €
  • Catequésis ecuménica para niños ... 0,20 €
  • Catequesis ecuménica para jóvenes ...0,20 €
  • Seña libros de la Lámpara de la Unidad ...0,40 €
  • Oraciones para rezar durante la Semana de la Unidad 2011... 0,20 €
  • Cantos para las Celebraciones por la Unidad ...0,50
Os rogamos que los pedidos los hagáis lo antes posible.

lunes, 13 de diciembre de 2010

Ecumenismo Activo en Barcelona, España

Parroquias prestan capillas a ortodoxos y grecocatólicos

Las prestan para la eucaristía dominical, para que puedan celebrar sus ritos en ese día los fieles inmigrantes que llegan cada vez más de Europa del Este. Una integración impulsada desde la incentivación de la oración.



La inmigración venida de los países del Este durante los últimos quince años ha traído a Barcelona mucho más que mano de obra, acentos nuevos y melodiosos en el hablar, y algunos retos en integración y seguridad. De la mano de rusos, rumanos, ucranianos, búlgaros, georgianos... han llegado también a la ciudad el cristianismo ortodoxo y la fe grecocatólica de rito bizantino -de liturgia similar a la ortodoxia, pero obediente a Roma-, que se están haciendo un hueco en la vida religiosa de la ciudad. Lo cuenta Mari Paz López en La Vanguardia.

Sus popes y fieles han hallado cobijo en parroquias católicas de la archidiócesis, que les prestan capillas o dependencias para la celebración eucarística dominical, que en la ortodoxia se denomina divina liturgia. Existe, no obstante, un caso particular en Barcelona: se trata de la parroquia ortodoxa de la Protecció de la Mare de Déu, en la calle Aragó, única iglesia de esta confesión con local propio, que surgió hace casi cuarenta años de un grupo de catalanes bautizados en la Iglesia católica que se convirtieron a la fe ortodoxa. (El cristianismo se escindió en catolicismo y ortodoxia en el año 1054, debido a disputas teológicas y políticas entre Roma y Constantinopla; fue el denominado cisma de Oriente.)

En esa parroquia de la Protecció de la Mare de Déu recalan ahora también cada domingomuchos inmigrantes de Europa del Este y Asia Central, la mayoría de profunda religiosidad ortodoxa, que se muestran sorprendidos al constatar que los curas católicos deben ser célibes. Sus sacerdotes, los popes, pueden ser casados, y acostumbran a estarlo si llevan una parroquia.

Ese encuentro semanal supone un bálsamo religioso y social para muchos de los casi 20.000 ciudadanos del Este empadronados en Barcelona, que encuentran ahí una liturgia familiar y tranquilizadora, las más de las veces en su lengua, y una ocasión de vida comunitaria entre sorbos de café o té y pastas horneadas para la ocasión. "Desde hace casi veinte años hemos procurado que todos los grupos nacionales de ortodoxos tuvieran un lugar donde celebrar y reunirse, y a veces hemos proporcionado alojamiento al pope y a su familia hasta que han encontrado piso", explica Jaume González-Agápito, delegado de ecumenismo del arzobispado de Barcelona. (Son relaciones ecuménicas las que vinculan entre sí, en tanto que confesiones cristianas, a catolicismo, ortodoxia, protestantismo y otras ramas evangélicas.)

González-Agápito es rector de la parroquia de Santa Maria Reina, en Pedralbes, que acoge cada domingo a los ortodoxos rusos en la capilla del Santíssim -se congrega un centenar de personas- y a los ortodoxos búlgaros -una veintena de fieles- en la cripta. "En Barcelona viven muchos búlgaros pero pocos son creyentes, y las asociaciones y escuelas búlgaras existentes ya les proporcionan vida social y comunitaria", explica Avenir Georgiev, el monje búlgaro venido de Sofía que oficia la liturgia. En el padrón municipal barcelonés están inscritos 1.878 búlgaros.

En la parroquia de Santa Maria Reina acogieron también durante años a griegos ortodoxos, quienes hace dos años se mudaron a la basílica de la Puríssima Concepció, que les cede la capilla de Montserrat. "La mayoría son familias griegas enraizadas en Catalunya desde fines del siglo XIX y principios del XX, con negocios aquí; no se trata de inmigración como la que hemos tenido del este de Europa en los últimos años", aclara González-Agápito.

Más casos: los ortodoxos rumanos se reúnen en locales cedidos por la parroquia de Sant Ferran, cerca de la plaza Espanya; y los ucranianos grecocatólicos de rito bizantino (es decir, obedientes al Papa) se reparten entre la parroquia de Santa Mònica, en la Rambla, y el santuario redentorista del Perpetuo Socorro, en la calle Balmes. Los polacos constituyen un caso aparte: son en su mayoría católicos de rito latino, por lo que, aunque tienen capellanía propia, sus misas sólo difieren de las de cualquier parroquia en el uso de la lengua polaca. Y hay también otras comunidades ortodoxas, como la georgiana, que solía reunirse en un pequeño local en el Paral•lel, o la siriaca, de reducido tamaño.

La Iglesia ortodoxa, con unos 225 millones de fieles en todo el mundo, tiene un fuerte componente nacional. Está estructurada en iglesias autocéfalas (es decir, administrativamente independientes; en general, una por país) y existen cuatro patriarcados históricos: Constantinopla, Alejandría, Antioquía y Jerusalén. Hasta hace veinte años, España era un país virgen para la ortodoxia, con apenas algunas comunidades de griegos y rusos, pero con la inmigración han llegado en los últimos quince años miles de personas de países del Este, donde el comunismo no logró erradicar una fe mayoritaria.

Así, la parroquia de la Protecció de la Mare de Déu, por ejemplo, depende del patriarcado de Serbia, y su obispo, Luka, reside en París. "Lo habitual en Occidente es que las parroquias ortodoxas surjan de núcleos de personas procedentes de países ortodoxos -explica su pope, el barcelonés Martí Puche-. Aquí fue distinto; surgió de un grupo de catalanes con inquietud espiritual de búsqueda del cristianismo primigenio, de la tradición primitiva; así fue cómo conectamos con la ortodoxia". Puche se convirtió poco antes de cumplir los 30 años y cursó estudios teológicos en París. Esta comunidad de la calle Aragó, germen de la Iglesia ortodoxa de España -el vicario general para todo el país es el arcipreste catalán Joan Garcia-, alberga ahora también en su seno a inmigrantes del Este.

"Para el inmigrante, la iglesia es también vida comunitaria", afirma el padre Puche, y con él coinciden en esta apreciación los otros sacerdotes consultados. "El tercer domingo del mes, después de la misa tomamos café y pastel juntos -explica el sacerdote ucraniano Ivan Levytsky, que atiende a grecocatólicos de rito bizantino en el santuario del Perpetuo Socorro-. Es el momento de compartir alegrías y dificultades".

Para el inmigrante recién llegado, la parroquia es un punto de anclaje muy acogedor, pues proporciona religión, relaciones sociales, un respiro para conversar en su lengua y asistencia en la adversidad. Lo sabe bien Tatiana Averkina, ucraniana de padre ruso que llegó a Barcelona desde Kazajistán hace doce años en busca de trabajo y porvenir.

"Yo no hablaba español y no entendía nada -evoca Averkina-, y preguntando, preguntando, me enteré de que existía esta iglesia ortodoxa. Yo buscaba un lugar donde practicar mi fe. Al principio venía cada domingo andando desde lejos, para no tener que pagar el autobús". El recuerdo de aquellos primeros tiempos de sensación de indefensión la lleva ahora a ocuparse de la ayuda social a los feligreses inmigrantes en apuros económicos.

"Repartimos comida, juguetes y ropa que recibimos del Banc dels Aliments y de donaciones, e informamos a los recién llegados sobre el padrón, la tarjeta sanitaria o el colegio de los niños -explica Tatiana Averkina-. Una ventaja es que, como es gente del antiguo bloque soviético, casi todos hablan o entienden el ruso y eso permite mejor la comunicación". Abundan en el tablón de anuncios de la parroquia papelitos en alfabeto cirílico sobre búsqueda de piso y de trabajo.

La liturgia en la Protecció es en catalán, pero ahora rezan también letanías en eslavo eclesiástico, idioma litúrgico común. Allí se reúnen un centenar de personas cada domingo en la liturgia, pero "en Pascua, la festividad ortodoxa más importante, la iglesia está repleta", explica el padre Puche. Las ceremonias ortodoxas son largas (pueden durar hasta dos horas) y los fieles permanecen de pie ante los iconos -elemento fundamental para su fe, son mucho más que imágenes- rezando y participando en los cantos. Las mujeres acostumbran a cubrirse la cabeza con un pañuelo. Rezando, la integración en el país de acogida puede resultar más llevadera.

viernes, 10 de diciembre de 2010

Presidente del Congreso Mundial Judío lamenta la persecución de cristianos en Oriente Medio

Cardenal Koch: “el nuestro es el ministerio de la cruz” (I)


Testimonio del presidente del Consejo Pontificio para la Unidad de los Cristianos
Con sólo 13 años de servicio episcopal monseñor Kurt Koch, presidente del Consejo Pontificio para la Promoción de la Unidad de los Cristianos recibió el nombramiento como cardenal, “con los mismos pensamientos de John Henry Newman cuando fue nombrado por el papa León XIII”, es decir, “muy sorprendido".
Dice que no se lo esperaba ser nombrado para este consistorio porque lleva en la presidencia de este dicasterio sólo cuatro meses, pero cree que la elevación al cardenalato es “un signo de la importancia que el Santo Padre quiere dar al ecunemismo”.
“Pertenecer al colegio cardenalicio no es un honor sino más bien un reto: estar disponible para dar todo por la Iglesia y tener una relación cercana con el Santo Padre”, asegura el purpurado.
En la primera parte de esta entrevista el cardenal Kurt Koch habla de sus 28 años de vida sacerdotal así como de su experiencia en el diálogo con el ecumenismo. Mañana, en la segunda parte, hablará de la celebración de los 50 años del dicasterio que tiene a su cargo desde el pasado 1 de julio, cuando entró a reemplazar al cardenal Walter Kasper.
El purpurado, muy cercano a Benedicto XVI, de quien recibió el capelo cardenalicio el pasado 20 de noviembre, tiene 60 años y nació en Emmenbrücke, provincia de Lucerna (Suiza). Es el noveno cardenal en la historia de este país.
Autor de los libros Dass alle eins seine. Ökumenische Perspektiven (Que todos sean uno. Perspectivas ecumenicas, n.d.t.) Sankt Ulrich, Augsburg 2006, Dem Herrn gehört die Zeit. Meditationen zum Kirchenjahr(El tiempo es del Señor. Meditaciones para el año liturgio n.d.t), Bonifatius, Paderborn 2008, Das Geheimnis des Senfkorns. Grundzüge des theologischen Denkens von Papst Benedikt XVI – Ratzinger-Studien. Band 3 (El secreto del grano de mostaza. Lineas del pensamiento teológico del Papa Benedicto XVI – n.d.t.) Pustet, Regensburg 2010.
Fue ordenado sacerdote en 1982 y trabajó como vicario en la parroquia St. Marien de Berna hasta 1985. Es doctor y fue profesor de teología moral en el instituto catequético de la facultad de Lucerna, y de teología fundamental en el curso de teología para laicos católicos en Zürich.
En 1997 Juan Pablo II lo nombró obispo de Basilea, una experiencia que confiesa, le dio “un gran gozo” porque el ecumenismo, “siempre ha estado en mi corazón ya que mi país, Suiza, los protestantes son muy cercanos. También tengo un gran interés por las iglesias ortodoxas”, dice.
“Las Iglesias y las comunidades eclesiales de la reforma en Suiza son un caso especial”, puntualiza el cardenal Koch. “El gran desafío es el diálogo ecuménico entre católicos y ortodoxos. Tenemos un fundamento de fe y una gran diversidad de culturas mientras que en las Iglesias de la reforma el fundamento. Con ellos hay otro modo de hacer ecumenismo, que no es siempre fácil”, asegura.
Entre los años 2006 y 2010 el purpurado fue nombrado presidente de la Conferencia Episcopal Suiza.
“Fue un buen trabajo”, recuerda. “Siendo presidente pude mirar mucho la Iglesia en Europa y el trabajo de la diócesis continuaba, por ello era importante trazar objetivos comunes, tarea no siempre fácil”.
Y asegura que los cuatro meses como jefe del Consejo Pontificio para la Promoción de la Unidad de los Cristianos, “es una bella experiencia ecuménica”.
“Estoy muy contento de mirar esta responsabilidad que me causa tanta alegría”. Dice que los encuentros con los líderes de otras confesiones cristianas “pueden presentar nuestra iglesia y su identidad está muy abierta a todos los cristianos y a este ministerio”.
El cardenal Koch confiesa que del momento en que recibió el capelo cardenalicio, se le ha quedado grabado “el signo del anillo que hizo el Santo Padre al día siguiente del consistorio. Me conmovió mucho la homilía”.
“Jesús puede construir en nosotros su Iglesia en la medida en que encuentra en nosotros esa fe verdadera, pascual, esa fe que no quiere hacer bajar a Jesús de la Cruz, sino que se confía a Él en la Cruz”, dijo Benedicto XVI el pasado 21 de noviembre durante la homilía, el día siguiente del consistorio.
“El primado del sucesor de Pedro es un primado de la cruz y en el cordero permanece todavía la imagen de la cruz. Es una muestra viva de que el Señor ha padecido por nosotros”, concluye el cardenal.

Cardenal Koch: “el nuestro es el ministerio de la cruz” (II)

La imagen de San Pedro y San Andrés Apóstol, discípulos de Cristo, cabezas de la Iglesia católica y ortodoxa respectivamente, se encuentra en la puerta de las oficinas del Consejo Pontificio para la promoción de Unidad de los cristianos, ubicadas en la vía de la Conciliación, antes de llegar a la Plaza de San Pedro, como símbolo de hermandad y de diálogo entre las iglesias cristianas.
Este dicasterio, que celebra este año sus bodas de oro, busca el diálogo y la promoción del espíritu ecuménico entre los cristianos según el decreto conciliar Unitatis redintegratio (1964).
Tiene también la misión de nombrar los observadores o "delegados fraternos" de otras Iglesias y Comunidades eclesiales, con motivo de la celebración de grandes acontecimientos de la Iglesia católica.
Sobre la historia, los desafíos y los frutos del Consejo Pontificio para la promoción de la Unidad de los Cristianos, ZENIT entrevistó al cardenal suizo Kurt Koch, quien hace cuatro meses fue nombrado por el Papa Benedicto XVI como nuevo presidente de este dicasterio. Recibió el capelo cardenalicio el pasado 20 de noviembre.
- ¿Cómo nació este dicasterio?
Cardenal Koch: En 1960 el santo padre Beato Juan XIII quiso que la dimensión ecuménica fuese uno de los principales puntos a tratar del Concilio Vaticano II. Por ello creó el secretariado para la unidad de los cristianos – así se llamaba anteriormente. Nombró como primer director al cardenal jesuita Agustín Bea. En 1988 el Papa Juan Pablo II transformó el Secretariado en Consejo Pontificio para la Promoción de la Unidad de los Cristianos.
- ¿Cuáles considera que son los principales frutos de estos 50 años de trabajo?
Cardenal Koch: Creo que la dimensión ecuménica ya no es un pensamiento extraño, sino una dimensión necesaria e importante para la Iglesia, como dijo Juan Pablo II en su encíclica Ut un sint (1995). Cuando Benedicto XVI fue elegido Papa, en su primer mensaje dijo que el ecumenismo iba a ser uno de los principales desafíos de su pontificado. Este es uno de los frutos principales.
Luego tenemos varios frutos específicos como el diálogo con las iglesias ortodoxas que ha avanzado mucho. También el ecumenismo en la situación de Oriente. Hay algunos frutos que hemos recogido con los luteranos y los metodistas.
- ¿Cree que el encuentro histórico que tuvo el papa Pablo VI con el patriarca Atenágoras I en 1964 forma parte de los frutos de este dicasterio?
Cardenal Koch: Sí. Forma parte del primer encuentro del Papa, obispo de Roma y el patriarca ecuménico. Después de este acontecimiento tenemos la costumbre de la visita recíproca de una delegación de Constantinopla que viene a la fiesta del 29 de junio de San Pedro y San Pablo y una delegación de la Santa Sede que viaja a Constantinopla cada 30 de noviembre para la fiesta de San Andrés apóstol, patrono de los ortodoxos. Pedro y Andrés son hermanos. La Iglesia de Roma y de Constantinopla son las iglesias hermanas.
- Por otro lado, ¿usted cree que la reciente beatificación del cardenal Newman puede ser también uno de los frutos de este dicasterio?
Cardenal Koch: Sí, porque Newman es muy conocido y muy venerado entre los católicos y entre los anglicanos. Porque esta fiesta de beatificación en Birmingham era un evento ecuménico.
- ¿También la constitución apostólica Anglicanorum coetibus?
Card Kurt Koch: En la Santa Sede hacemos una diferencia. Este dicasterio es responsable del diálogo. La constitución Anglicanorum coetibus sobre estos creyentes, sacerdotes y obispos anglicanos que quieren regresar a la Iglesia católica, es responsabilidad de la Congregación para la Doctrina de la fe.
La conversión de los fieles es algo que siempre ocurre en la Iglesia. La novedad, esta vez es que vienen grupos de creyentes, sacerdotes y obispos. Todas las personas que quieren entrar a la Iglesia, el Santo Padre les quiere abrir la puerta. Para nosotros no es un peligro para el diálogo ecuménico. Este sigue su curso.
- ¿Cuáles cree que son los principales obstáculos para el diálogo con las iglesias ortodoxas y con las iglesias orientales antiguas, y con las que nacieron luego de la llamada reforma protestante?
Cardenal Koch: Aunque tenemos un gran fundamento común en la fe, tenemos especialmente otra cultura con las iglesias y comunidades orientales. Por ejemplo, para el diálogo ecuménico con la Iglesia está la cuestión del primado del Obispo de Roma. En cambio con las iglesias nacidas luego de la Reforma hay más puntos culturales que nos unen, pero hay toda una eclesiología que debemos discutir.
- Acaba de pasar el sínodo del Medio Oriente y hay muchas iglesias antiguas que han alcanzado la plena comunión con la Iglesia católica. ¿Como ha sido esta experiencia de comunión entre las iglesias sui iuris a pesar de las diferencias culturales entre los ritos?
Cardenal Koch: Estas Iglesias son una gran riqueza para nuestra Iglesia Universal. Son fieles al Santo Padre y permanecen fieles a su magisterio. Pueden ser un puente de ecumenismo como se ve en el decreto conciliar Orientalium Ecclesiarum del Concilio Vaticano II sobre las iglesias orientales católicas.
Creo que este sínodo ha tenido dos frutos centrales que todas las iglesias del Oriente Medio se hayan reunido en una asamblea de dos semanas y puedan vivir la comunidad entre ellos, creo que esto es una gran iniciativa y una bella experiencia.
Se ha hablado de la situación tan difícil en estas iglesias de esta zona del planeta y más ahora a nivel de la Iglesia universal y de cómo los católicos y cristianos de todas las iglesias locales ven la necesidad de ayudar estas iglesias y de soportar y vivir en una gran solidaridad con estos cristianos del Oriente Medio.
- ¿Cree que hace un siglo hubiera sido posible crear un dicasterio como este, con el objetivo de propiciar un espacio para el diálogo ecuménico? ¿O cree que esto sea fruto de un nuevo tiempo?
Cardenal Koch: En la primera encíclica de Pablo VI Ecclesiam Suam sobre el mandato de la Iglesia en el mundo contemporáneo, el pontífice hablaba del principio del diálogo. Cada pontífice responde a su tiempo y a sus desafíos.
La Iglesia está abierta también a una nueva evangelización que ha querido el Papa Benedicto XVI y va en la misma vista de apertura y de profundizar la misión de la Iglesia en países secularizados que tienen una gran tradición cristiana pero que la están olvidando. Es necesaria una nueva evangelización.

sábado, 4 de diciembre de 2010

El secretario general del Consejo Ecuménico de las Iglesias en audiencia con el Papa

Benedetto XVI ha ricevuto stamane, sabato 4 dicembre, il segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec) di Ginevra, Olav Fykse Tveit, con il seguito. Come avvenuto con i suoi predecessori, è consuetudine che, in seguito all'elezione, il nuovo segretario generale si rechi in visita alla Santa Sede.
Il pastore luterano norvegese e la delegazione da lui guidata - di cui fanno parte la consorte, Anna Bjorvatten, il cosegretario del gruppo misto di lavoro tra la Chiesa cattolica e il Cec, Martin Robra, e Fulata Mbano-Moyo, responsabile del programma sul ruolo delle donne nella Chiesa e nella società - sono stati ricevuti anche dal cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, e si sono recati in visita alla Segreteria di Stato.
Il viaggio a Roma - anche per visitare le comunità evangeliche italiane che fanno parte del Cec - nasce da un impegno preso da Tveit lo scorso 18 maggio, in occasione della sua prima visita da segretario generale all'allora presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell'Unità dei Cristiani, cardinale Walter Kasper.
Domani, domenica 5, il reverendo Tveit pronuncerà un'omelia in occasione di una celebrazione nella chiesa metodista di via xx Settembre, alla quale seguirà un incontro con rappresentanti delle congregazioni protestanti locali, presso la chiesa valdese di via iv Novembre. Inoltre, la delegazione sarà accolta presso la sede della Comunità di Sant'Egidio e presso il centro del Movimento dei Focolari.
Il Consiglio ecumenico delle Chiese, di cui Tveit è segretario generale dallo scorso gennaio, riunisce 349 realtà evangeliche, ortodosse e anglicane di ogni continente, in rappresentanza di oltre 560 milioni di cristiani. La Chiesa cattolica non ne fa parte, anche se collabora con le sue istituzioni, in particolare con la Commissione fede e costituzione.

El ecumenismo es buscar la verdad en la unidad

viernes, 3 de diciembre de 2010

Oración ecuménica por los cristianos de Iraq

Jueves, 2 de diciembre. Por iniciativa de la asociación ecuménica Sabeel, los cristianos árabes de Jerusalén se han reunido en la iglesia de San Esteban del convento de los dominicos para rezar juntos por los cristianos de Iraq y por la paz en este país. Al mismo tiempo, la oración ha servido como punto de inicio del tiempo de Navidad.
Por la parte franciscana estaba presente fray Ferz Hejazin, que tiene bajo su cura la parroquia latina de Jerusalén.
Cada uno de los textos elegidos ha sido leído por distintos representantes de las diversas Iglesias, unidas todas ellas por el mismo deseo de paz. La homilía ha corrido a cargo de Monseñor William Shomali, obispo auxiliar de los latinos de Jerusalén. Al finalizar la homilía, el recogimiento se ha hecho si cabe más intenso cuando la oración ha proseguido a la luz de las velas, en memoria de las víctimas del atentado del 31 de octubre en la catedral de los siríacos católicos y de todos los cristianos asesinados.
El 30 de noviembre tuvo lugar el asesinato de otro cristiano iraquí, ocurrido en la ciudad de Mosul. Este enésimo asesinato eleva a ocho el número de cristianos siríacos asesinados tras la “masacre de Todos los Santos”.
En señal de protesta contra esta ola de violencia contra la minoría cristiana, los representantes de las comunidades cristianas se ha retirado de la conferencia sobre la coexistencia y la tolerancia social, organizada por el Ministeiro iraquí para los Derechos del Hombre. Mientras tanto, los cristianos iraquíes siguen huyendo de su país, haciendo todavía más incierto el futuro de la presencia cristiana en el país de Abrahán, padre de todos los creyentes, en el país evangelizado por santo Tomás.

Una delegación del Consejo Ecuménico de las Iglesias visita el sábado al Papa y al Vaticano

Del 3 al 5 de diciembre una delegación del Consejo Ecuménico de las Iglesias de Ginebra estará en el Vaticano para realizar un visita oficial al Santo Padre y al Pontificio Consejo para la Promoción de la Unidad de los Cristianos, según informa una nota de prensa de la Sala de Prensa de la Santa Sede.

La delegación es presidida por el Reverendo Olav Fykse Tveit, pastor luterano de la Iglesia de Noruega, quien fue elegido en enero de este año como Secretario General del Consejo Ecuménico de las Iglesias. La visita se realiza siguiendo una tradición establecida, en la que el Secretario General después de su elección, realiza una visita oficial a la Santa Sede.

El programa de la visita prevé que el sábado 4 la delegación ecuménica sea recibida en un primer momento por el Cardenal Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consejo para la Promoción de la Unidad de los Cristianos, y luego por los representantes de la Secretaría de Estado. Finalizados estos encuentros la delegación será recibida en audiencia privada por el Papa Benedicto XVI.

Bartolomé I: la unidad en el amor debe serlo también en la fe y la verdad

Discurso del patriarca ecuménico en la fiesta de san Andrés
ESTAMBUL. “La unidad en el amor no es de ningún beneficio si no es a la vez una unidad en la fe y la verdad”, afirmó el patriarca ecuménico de Constantinopla Bartolomé I este martes durante las celebraciones de la fiesta de san Andrés. El líder ortodoxo dirigió un discurso al presidente del Consejo Pontificio para la Unidad de los Cristianos, el cardenal Kurt Koch, que participó, en representación del Papa a la cabeza de una delegación de la Santa Sede, en la divina liturgia de la fiesta del patrón del patriarcado ecuménico, en la iglesia del Fanar, en Estambul.
Citando a san Pablo, el patriarca destacó que precisamente “'siendo sinceros en el amor', según la exhortación del apóstol, mantenemos este diálogo teológico por decisión unánime de todas las Iglesias ortodoxas autocéfalas para examinar, en amor y sinceridad, tanto las cuestiones teológicas que unen como las que todavía dividen, 'hasta que lleguemos todos a la unidad de la fe'”.
Bartolomé I explicó que el patriarcado ecuménico sigue “con interés creciente el desarrollo de este diálogo teológico”.
“Oramos por su éxito, especialmente durante esta fase actual en la que se están debatiendo temas controvertidos que en el pasado se mostraron como causa de conflicto agudo entre nuestras Iglesias”, aseguró.
En este sentido, se refirió a la reciente sesión plenaria de la Comisión mixta de diálogo celebrada en Viena bajo la presidencia conjunta del cardenal Koch y del metropolitano Juan de Pérgamo, que abordó el papel del obispo de Roma en la comunión de la Iglesia en el primer milenio.
Destacó que esa reunión “reveló la existencia de dificultades pero también la disposición y la decisión de todos los miembros de la Comisión para superar esas dificultades con amor así como con fidelidad a la doctrina y a la vida de la Iglesia transmitida a nosotros desde el primer milenio para avanzar en su resolución”.
Bartolomé I le dijo al cardenal Koch que “anhelamos su cooperación con nuestro patriarcado ecuménico para la futura mejora de las relaciones fraternas entre nuestras Iglesias para beneficio de la promoción de la unidad, por la que nuestro Señor oró a su Padre inmediatamente antes de su pasión”.
También se refirió al cincuenta aniversario que este año celebra el Consejo Pontificio para la Unidad de los Cristianos.
En este sentido, afirmó: “Nuestro pensamiento se dirige al difunto papa Juan XXIII, que fundó este Consejo en 1960 originariamente con la forma de un Secretariado”.
Apreció también la convocatoria del Concilio Vaticano II y afirmó que las “audaces decisiones históricas” de este pontífice “prepararon el camino para la participación de la Católica Romana en el esfuerzo por la reconciliación de la unidad cristiana”.
“Entre los frutos de esta iniciativa histórica del papa fallecido, el desarrollo de las relaciones fraternas entre las Iglesias ortodoxa y católica romana ocupa un lugar preeminente”, constató.
Y expresó su agradecimiento a los líderes eclesiásticos que han trabajado en esa tarea, en concreto a los papas Pablo VI y Juan Pablo II, los patriarcas ecuménicos Athenagoras y Dimitrios, los presidentes del Consejo Pontificio para la Unidad de los Cristianos los cardenales Augustino Bea, Johannes Willebrands, Edward Cassidy y Walter Kasper, y sus colaboradores, entre ellos el obispo Pierre Duprey y monseñor Eleuterio Fortino.
Con ellos, destacó el patriarca ecuménico, “las relaciones entre nuestras Iglesias se cultivaron aún más a través del respeto mutuo y el amor fraterno”.
En su discurso, Bartolomé I indicó que los santos patronos de la Iglesia católica y ortodoxa, los hermanos Pedro y Andrés “no sólo estaban relacionados por la sangre sino especialmente por el infinitamente más significativo vínculo con Cristo y la comunión en Cristo”.
“Ellos conservaron este vínculo de comunión en Cristo irreprochable durante todo un milenio, de manera que las Iglesias que se derivaron de la predicación y el martirio de esos apóstoles, llamadas las Iglesias de Roma y Constantinopla, están obligadas una vez más a a recuperar este vínculo de comunión para mostrarse como dignos sucesores de su depósito”, destacó.
Citando el Evangelio de san Juan, dijo que “la Iglesia de Cristo se demuestra 'apostólica' transmitiendo a Cristo de generación en generación y de lugar a lugar 'para que el mundo crea' en Él como redentor y salvador”.
En este sentido, afirmó que “incluso hoy, haciendo frente a múltiples callejones sin salida, el mundo busca la redención y la salvación”.
Advirtió que “los que predican a Cristo separados unos de otros no pueden convencer al mundo de que 'hemos encontrado al Mesías' -que quiere decir Cristo-”.
Y subrayó que “fieles al mensaje auténtico y autorizado de los apóstoles, estamos llamados 'con una sola voz y un solo corazón' a transmitir este mensaje al mundo contemporáneo, percibiendo las preocupaciones y abrazando los problemas del mundo”.
En la celebración de ayer de la fiesta de san Andrés en el patriarcado ecuménico, el cardenal Koch también leyó un mensaje del Papa dirigido a Bartolomé I, en el que destacaba la

Película del Beato Newman

La vida del beato John Henry Newman está ya en fase de rodaje cinematográfico. El cardenal, que se convirtió del anglicanismo al catolicismo, beatificado por Benedicto XVI en su reciente viaje al Reino Unido, tiene una apasionante biografía que en el cine se llamará The Unseen World.
Tras hacer The Gardener of God y Vivaldi, Liana Marabini, hitoriadora, escenógrafa y directora de cine, especializada en Historia de la Iglesia, ha decidido cumplir un sueño largamento acariciado: dar a conocer al gran público una figura tan significativa como la del cardenal Newman.
Marabini acaba de rodar otro filme: Scripta manent, en el Principado de Mónaco.
Entrevistada por el diario Il Giornale de Italia, el 23 de noviembre, la directora que es también productora de la película, en medio del rodaje, explica el por qué de la decisión de hacer este filme: “Para mí, Newman es el sacerdote ideal, una inspiración para los demás sacerdotes. Es el santo de las conversiones, pero el filme se centra en la historia de amor absoluto de Newman con Dios que le lleva a llorar de conmoción y de alegría por Él incluso cuando le asaltan las dudas”.
Marabini desgrana al diario italiano otros argumentos no sólo complejos como la conversión, la liturgia, la traición y la castidad de los sacerdotes, que el mismo Newman afrontó en una Inglaterra victoriana y protestante.
Newman es interpretado por Murray Abraham, premio Oscar por Amadeus, quien aparte de su parecido con el cardenal inglés, es considerado una óptima elección para el papel por parte de este diario.
La directora subraya que los textos de la película con auténticos: “las palabras son de Newman”, así como son de época los ornamentos, donados por la cineasta a los Museos Vaticanos.
Explica también que están rodando en todos los lugares de Newman: cerca de un tercio de la película transcurre en escenarios históricos. Después de Roma, a finales de año, el equipo de rodaje se trasladará a Inglaterra donde rodarán en Littlemore, Oscott, Birminghan y Oxford, y se unirán al rodaje los actores Nastassja Kinski y Christopher Lambert. The Unseen World llegará a los cines de todo el mundo a mediados de 2011.
El título --El mundo invisible, en español- representa la relación metafísica que existe entre el hombre y Dios. Un tema explicado por el teólogo Newman en sus numerosos escritos filosóficos, catequéticos y doctrinales.
El beato inglés fue en su vida un puente de diálogo entre dos tradiciones cristianas y es esto lo que subrayó su reciente beatificación en Inglaterra.

miércoles, 1 de diciembre de 2010